Enoriflessioni
Rai Uno: una Linea verde life alla carbonara
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Una puntata sulla Langhe dove sono riusciti a non parlare quasi di Barolo
Evito accuratamente di guardare i programmi di Mamma (si fa per dire, per me è matrigna e ladra, visto che ci costringe con un’estorsione governativa voluta da Matteo Renzi, a pagare il canone tramite la bolletta della luce) Rai e tantopiù quelli che il cosiddetto “servizio pubblico” (quello che per cinque giorni ha inquinato gli spettatori con l’immondo spettacolo, non ne ho visto un solo minuto mi sono bastate le cronache e le foto apparse sui giornali, del Festival di Sanscemo) dedica al cibo, alla cucina, alla gastronomia.
Ogni volta che mi azzardo a guardare quelle trasmissioni, ad eccezione di qualche servizio ben fatto che appare su Rai 3 nella trasmissione Geo & Geo della bravissima Sveva Sagramola, mi trovo di fronte a dilettantismo, improvvisazione, marchette mal mascherate, nulla che sia una utile, corretta, ben fatta informazione sui tesori enogastronomici di cui l’Italia è strapiena.

Ricordo un programma di un paio di anni orsono, mi sembra si chiamasse I signori del vino, geniale parto della mente dei signori Marcello Masi e Rocco Tolfa, all’epoca direttore e vicedirettore del TG2, che si faceva notare, oltre che per l’insopportabile accento romanesco dei due, manco fossimo a Tele Trastevere o Radio Frascati invece che alla Rai, per banalità in serie e per la capacità di parlare, con atteggiamento vagamente servile, sempre dei soliti noti.
E’ quindi con ampio scetticismo che ieri, avuta segnalazione dall’amico Giulio Bava che nel corso del programma si sarebbe parlato di quell’Alta Langa Docg, ovvero le bollicine piemontesi metodo classico (quelle ignote a “farfallino”) del cui Consorzio lui è ottimo presidente, che sabato alle 12 circa su Rai Uno si sarebbe parlato di Langa e di Alta Langa in una puntata dedicata alla provincia di Cuneo del programma denominato Linea Verde Life, mi sono messo davanti al teleschermo.

Dopo qualche minuto, la tentazione di spegnere il televisore e dedicarmi ad altro era già forte, lo spettacolo e l’ascolto dell’insopportabile accento trasteverino di Marcello Masi, questa volta orfano del compare Rocco Tolfa, era insopportabile. E che ci azzeccava, mi sono chiesto, in un programma che avrebbe dovuto parlare dei tesori della provincia di Cuneo, vini di Langa in primis, la presenza della solita bellissima e inutile, anche se magari risulta iscritta all’albo pubblicisti dell’Ordine dei giornalisti, ovvero tale Daniela Ferolla,che scoprirò poi da ricerche su Google essere stata Miss Italia 2001 e aver condotto nelle stagioni 201-2015 Linea Verde prima insieme a Patrizio Roversi e poi all’insopportabile prezzemolino Federico Quaranta?
Non c’entrava nulla, ma sapete come ragionano i programmisti Rai e come funzionano le “logiche” Rai (a Mediaset non è che siano meglio e quando La 7 qualche anno fa ha dato spazio ad un programma di turismo enogastronomico non ha saputo far meglio che affidarlo a Gianfranco Vissani e all’ex moglie di Enrico Mentana) accanto al presunto esperto, nella fattispecie il Masi, bisogna affiancare una bella presenza femminile, che si capisce lontano un miglio che delle cose di cui parla sa poco o nulla. Perché non chiamare allora, anche se ultimamente è dimagrita ed è meno appealing della Merolla, la mitica Italian wine girl Lauretta Donadoni?

E così, questa puntata di Linea Verde Life si è dimostrata l’ennesima occasione sprecata, con qualche sprazzo interessante, come la lunga intervista al re dei formaggi Peppino Occelli, i pochi minuti concessi a Giulio Bava per parlare di Alta Langa Docg, il dialogo con Aldino Vacca, storica anima della Cantina Produttori del Barbaresco, la divertente scoperta che le barrique possono servire a qualcosa, e che riciclate diventano originali stanghette per occhiali costruite da un ottico di Alba.
E soprattutto il programma ha avuto un pregio, la vista dall’alto, da mongolfiera e drone, dello spettacolo mozzafiato, magico, dei vigneti di Langa, il sorvolo dei castelli di Grinzane Cavour, Barolo, Serralunga d’Alba (mancava quello a me più caro, quello di Castiun Falàt), ma a conti fatti in questo programma, dove il Masi è riuscito nell’impresa di raccontarci che nel Lazio si fanno grandi vini (ma dove mai? E se anche fosse, e non è, ma chi se ne frega!) si è parlato più di capre, bava di lumaca utilizzata a fini cosmetici che di vino.
Ma che senso ha, in un programma televisivo supportato economicamente anche dall’ATL del Cuneese, che non si sia parlato, se non en passant, affidando il discorso ad un volonteroso ragazzotto dall’accento inevitabilmente capitolino (anvedi che palle!) di Barolo, che non si sia entrati in una cantina del Barolo, che non abbia preso la parola una Donna o un uomo produttori del più grande vino piemontese, italiano, mondiale?
Nessun senso, il non senso, la logica dell’illogico, ma questa è la Rai, bellezze!
n.b.
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Due brevi note di presentazione Sono nato a Milano nel 1956 e dal 1966 vivo in provincia di Bergamo. Giornalista pubblicista dal 1981, dal 1984, dopo aver collaborato, scrivendo di libri, cultura, musica classica e di cucina, a quotidiani come La Gazzetta di Parma, Il Giornale, La Gazzetta ticinese e Il Secolo d’Italia, mi occupo di vino. Per diciotto anni, sino all’ottobre 1997, sono stato direttore di una biblioteca civica. Continua a leggere ...

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