Editoriali
Per Petrini il Barolo a 9 euro è un’offesa per Ascheri un male necessario: chi è il piciu tra i due?
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1 mese fail

Anche il guru di Slow Food prende le distanze dal Consorzio e dal suo presidente
Da qualche mese vado denunciando il fenomeno desolante dei Barolo (e di qualche Barbaresco) finito sugli scaffali della GDO (beh, qualcuno, di una peraltro benemerita cantina cooperativa come Terre del Barolo da anni lo trovavamo già negli autogrill a prezzi ridicoli) a 9 euro.
Ho detto chiaramente che la colpa non è del management (parola grossa nel caso loro) attuale del Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, che quanto accade, amplificato dall’emergenza Covid-19, è il risultato di anni di scelte scellerate, di offese reiterate al buon senso, di ingordigia dopo anni di Malora raccontati in modo impareggiabile da Beppe Fenoglio.
E ho ripetuto, anche le teste più dure dovrebbero aver colto chiaro e forte il segnale, che per affrontare l’emergenza è indispensabile un Consorzio vero e serio, non l’attuale piccola cosa, che occorrono un presidente e un Cda con gli attributi e le idee, la cultura, l’apertura ed il respiro internazionale, proprio quello che manca totalmente all’attuale provinciale gestione.
E cosa è successo? E’ accaduto che per questi articoli, per queste chiamate di correo circostanziate, condivise da diversi protagonisti del mondo vitivinicolo albese, che tacciono perché ad Alba oggi sembra di essere nella Palermo di Bagarella e Totò Riina, io sia stato preso a male parole da un diffamatore matricolato, molto probabilmente manovrato da qualcuno che è chiaro a tutti chi possa essere e perché meschinamente l’abbia fatto.
E alle mie parole il prode Ascheri, quello che fino ad aprile riveste la carica, a lui totalmente inadatta, nunn’è cosa direbbero a Napoli, di presidente d detto Consorzio, ha in qualche modo risposto affermando (e basterebbero queste parole per dimostrare come sragioni e in quale realtà separata viva, senza alcun contatto con la realtà vera delle cose ed il sentire comune) che il Barolo a 9 euro “è un male necessario”. Ridicolo.
Queste cose le ha denunciate quel provocatore, brutto sporco cattivo del sottoscritto, ma guarda te, le stesse identiche cose da un pulpito mediaticamente molto più potente del mio, La Stampa di Torino, non Vino al vino, le ha dette ieri, con voce grossa, ma non autorevole e credibile come spiegherò oltre, nientemeno, in questa intervista ad un Luca Ferrua in atteggiamento troppo dimesso nei confronti dell’intervistato, non capace di obiettargli alcune semplice cose che un giornalista come me avrebbe obiettato, il capataz di Slow Food, il guru rosso che dialoga (tra rossi ci si intende) con Papa Bergoglio, ovvero Carlo (Carlin per gli amici, quorum non ego) Petrini.

In questa intervista, che vi invito caldamente, se non l’avete già fatto, a leggere e meditare, un Carlo Petrini quasi zilianeggiante (non penso mi legga ma forse qualcuno in via della Mendicità Istruita a Bra, dove ha sede la cantina dell’improvvido presidente del Consorzio, gli ha raccontato quello che scrivo), dice cose “buone pulite e giuste”.
Alla domanda di Ferrua su cosa stia accadendo a suo avviso nel mondo del vino in piena pandemia, Petrini ha risposto che “in questa situazione di accumulo di invenduto, i produttori sono sotto scacco e la grande distribuzione che ha liquidità e sbocco sul mercato ha buon gioco, e in molti casi offre prezzi inferiori al costo di produzione. Bisogna intervenire al più presto per prevenire situazioni che sono disastrose per il nostro settore agroalimentare, specialmente quello costituito da piccoli produttori e artigiani”, ma il meglio il fondatore di Arcigola diventata poi Slow Food, lo dice, rispondendo a questa domanda: “I picchi negativi del prezzo del Barolo di cui si è parlato nelle ultime settimane rientrano in questa analisi? Perché è accaduto?”.
La risposta è tranchante: “anche qui, per certi versi, stiamo parlando di eccedenze. Io, però, preferisco parlare di mancanza di strategia. Questo crollo del prezzo è molto grave: stiamo parlando di Barolo, un vino simbolo di un territorio e perno di un’economia. Ma è una crisi che ha radici lontane. Abbiamo assistito a una crescita esponenziale delle bottiglie prodotte dal 1991 al 2018: sono passate da 8 milioni e mezzo a 14 milioni e trecentomila.
Quando ho iniziato l’avventura di Slow Food si parlava di qualche milione di bottiglie. Negli ultimi anni si sta assistendo in tutta la Langa all’espianto del dolcetto e della barbera per mettere nebbiolo da Barolo. Questo, dopo aver, negli anni, impiantato nei fondivalle un tempo destinati a prato, aver assistito a disboscamenti, aver cambiato inclinazioni ed esposizioni a colline per renderle adatte alla vite”.

E quando Ferrua gli chiede: “si è prodotto troppo Barolo?”, Carlin non si nasconde ponziopilatescamente dietro ad un dito e risponde: “sicuramente c’erano zone ancora vocate non sfruttate, ma abbiamo esagerato. Un rapporto armonico richiederebbe la presenza di più vitigni e che quello di eccellenza fosse impiantato solo nelle zone migliori e coltivato con la cura e l’attenzione necessarie a giustificare il prezzo a cui viene proposto. Non dimentichiamoci poi che il Barolo ha bisogno di tre anni di invecchiamento. Quello a cui stiamo assistendo è un esempio di malgoverno e di miopia”
E’, la sua, una chiara accusa agli errori di gestione da parte del Consorzio: “ci sono altri casi ma il Barolo ha un prestigio e un’immagine nel mondo importante. Pur in presenza di casi simili, il danno di immagine del Barolo è nettamente più alto e anche le sue ripercussioni. Un po’ prima dell’inizio della pandemia, con soldi pubblici, è stata realizzata una manifestazione a New York dove si decantavano i pregi del Barolo e quindi si giustificava la sua valutazione economica. Adesso come possiamo giustificare in giro per il mondo che il Barolo è svenduto in questa maniera. È un danno enorme. La crescita infinita non è la politica giusta per prodotti come il Barolo che hanno nel fattore pedoclimatico un elemento essenziale”.
Ora, a parte il fatto che mi verrebbe da chiedere a Petrini, cosa che Ferrua ha evitato accuratamente di fare, come pensa si armonizzi il suo grido di allarme per il Barolo a 9 euro con l’affermazione del presidente del Consorzio Barolo Barbaresco che giudica questi prezzacci “un male necessario”, al sciur Carlin dico benvenuto, non è mai troppo tardi, a denunciare queste cose che io denuncio, vox clamantis in deserto, da anni, ma dove eri Carlo Petrini, guru della sinistra golosa (in ogni senso, vogliamo ricordare come avvenne l’operazione Banca del vino di Pollenzo, chi andò a chiedere soldi, tanti soldi, ai produttori per crearla e come importanti barolisti che rifiutarono di pagare il pizzo, pardon, il contributo volontario, persero improvvisamente i tre bicchieri sulla guida Vini d’Italia di cui Slow Food era co-editore con il Gambero rosso?) quando piantavano Nebbiolo da Barolo in ogni dove, quando la produzione di Barolo cresceva in maniera insensata? Perché non hai parlato allora e parli ora che è troppo tardi, che la stalla è aperta e sono scappate tutte le vacche?

A me sta benissimo che ieri dalle colonne della Stampa Carlin Petrini amplifichi le mie denunce, che scriva esattamente le stesse cose che io, che non ho scheletri nell’armadio e non ho fatto porcate, a differenza sua (vogliamo parlare di tre bicchieri dati in Langa a Barolo indegni e taroccati, a vini fatti a colpi di concentratore e osmosi inversa?) ma certe cose, anche quando era editorialista di Repubblica, sarebbe stato opportuno Petrini le avesse dette e scritte a chiare lettere anni fa.
E veniamo ad Ascheri ora. Io credo che una persona che avesse un minimo di dignità, di senso del pudore, di consapevolezza dei propri limiti, di fronte all’atto di accusa, all’aperta sconfessione delle scelte del Consorzio pronunciate ieri da Carlo Petrini sulla Stampa, il giornale che tutti leggono in Langa, farebbe una sola cosa. Rassegnerebbe oggi stesso le dimissioni o annuncerebbe di rinunciare a ripresentarsi come candidato per essere presidente su una poltrona che non vuole mollare e gli sta stretta. Che non è per lui, sulla quale è finito per un clamoroso errore di valutazione di chi l’ha votato. E oggi forse comincia a pensare di avere fatto una solenne cazzata. E adesso che anche Petrini l’ha mollato cosa sarà del pover uomo presidente?

Ma poiché un po’ dell’arrogante personaggio di Bra ho imparato a capirlo, volete scommettere che il produttore di Barolo da sufficienza e niente più, che il prode Ascheri, democristianamente, in stile Giuseppe Conte, con sovrana disinvoltura e faccia di tolla farà finta di niente? E che continuerà ancora il triste pasticciaccio brutto nell’Ampelion di Corso Enotria ad Alba?

Meditate donne e uomini di Langa, meditate e soprattutto fuori le palle e cambiate le cose, prendete in mano il vostro destino, non lasciatelo in mano agli Ascheri e ai loro ascari…
n.b.
non dimenticate di leggere anche il mio nuovo blog personale www.francoziliani.it e Lemillebolleblog www.lemillebolleblog.it
Due brevi note di presentazione Sono nato a Milano nel 1956 e dal 1966 vivo in provincia di Bergamo. Giornalista pubblicista dal 1981, dal 1984, dopo aver collaborato, scrivendo di libri, cultura, musica classica e di cucina, a quotidiani come La Gazzetta di Parma, Il Giornale, La Gazzetta ticinese e Il Secolo d’Italia, mi occupo di vino. Per diciotto anni, sino all’ottobre 1997, sono stato direttore di una biblioteca civica. Continua a leggere ...

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Quale il prezzo giusto per il Barolo?
Le parole di Petrini pesano come un macigno.
Da una parte, c’è la constatazione che l’odore dei soldi, ha portato a scelte scellerate, come quella di piantare Nebbiolo dappertutto, a svantaggio della diversità varietale e della diversificazione del paesaggio. Questa visione miope, ha portato per ultimo, a quel cazzotto nell’occhio, che sono le reti antigrandine. In un paesaggio che è patrimonio mondiale dell’Unesco!! Ne vogliamo parlare?
Dall’altra,c’è una esplicita chiamata in causa dell’attuale gestione, che non solo non ha fatto nulla per invertire la rotta, ma ricorrendo a formule logore quali “male necessario” male minore” e simili, ha avallato lo stato di cose presente. Non resta che augurarsi che qualche produttore, seguendo l’esempio del grande Bartolo Mascarello, di Giuseppe Rinaldi o di Baldo Cappellano, trovi il coraggio di farsi avanti e di dire le cose come stanno.
Ma Ahimè, le idee sono figlie dell’interesse.
E questo non mi lascia ben sperare.
Caro Franco,
anche se non serve, ti esorto a continuare a picchiare duro. Citando Arrigo Cervetto, “la storia è generosa verso chi non gli volta le spalle”
Il problema, caro Franco, e’ che da noi non esiste un organismo come l’Inao in Francia. Essendo il Barolo una gloria nazionale, non si puo’ lasciare la sua sorte nella mani del suoi stessi produttori ( talvolta poco assennati ). Occorre quindi dettare le regole dall’alto e poco male se qualcuno se ne avra’ a male. Iniziamo con il dimezzare la resa massima di raccolto consentita da 80 ( scandaloso! ) a 40 quintali per ettaro e gia’ questo mettera’ fuori gioco i produttori da quattro soldi. E poi, certo, non permettere un ampliamento della superfice coltivabile. Tutte cose gia’ denunciate dall’immenso e indimenticabile Giuseppe Rinaldi…
Credo che chiunque con un po’ di sale in zucca, senza scomodare il grande Petrini, capirebbe che mettere sul mercato vini BAROLO DOCG a 9 euro, che ben che vada possono essere equiparabili a dei buon LANGHE NEBBIOLO DOC, significhi,mi si consenta il termine, SPUTTANARE la Denominazione … Ma NON basta guardare come il consorzio del Brunello di Montalcino lavora … Ci sono oddio prodotti per fortuna tutte le tasche (anche le mie 😉 ) ..ma mai SOTTO i 20 euro… e se GIUSTAMENTE vuoi spendere meno, senza per questo BERE MALE , puoi orientarti sempre su un ottimo Rosso di Montalcino a prezzi più moderati… che salva il portafoglio degli acquirenti e la cassa dei produttori … allora facciamo anche noi se LANGHE DOC non la vogliamo considerare la denominazione di ricaduta, qualcosa del genere, ma VIA dal mercato Barolacci …
C’è da chiedersi come possa accadere una cosa del genere a uno dei più pregiati vini italiani.
C’è, altresì, da chiedersi come facciano i membri del consorzio ad essere così inerti e non insistere affinché vengano intraprese azioni per effettuare un cambiamento di rotta che ormai appare necessario.
E’ davvero disarmante vedere un Barolo in vendita a 9 euro: ognuno guarda al proprio orticello – o vigna -, ignorando queste dinamiche e il fatto che determinate scelte commerciali e non decisioni del Consorzio potrebbero pesare anche nel lungo periodo sulla reputazione del Barolo.
Domanda pratica, da ignorante delle dinamiche consortili: se domani a capo del Consorzio arrivasse la migliore persona possibile, che poteri avrebbe? Nel senso: le viti ormai ci sono, il vino è nei magazzini, gli investimenti sono stati fatti, i mutui e gli ammortamenti corrono e i conti economici languono. Cosa potrebbe praticamente fare il Consorzio, contando che la macchina del tempo non esiste?
Un Consorzio è sempre espressione della realtà produttiva. E a contare non sono le teste ma i numeri. Se chi fa più bottiglie decide di proseguire su questa strada, non esiste nessun modo per cambiare la rotta attuale. I casi simili di conflitti affini si risolvono sempre con i produttori più rigorosi che preferiscono uscire dal consorzio o dalla denominazione. Nel caso del Barolo questo è uno scenario altamente improbabile per ovvi motivi. Le dinamiche sono diverse ma ricordiamo che il più grande produttore di Brunello, non essendo in sintonia col consorzio, ha deciso di non usare più il nome Brunello. È un’estrema ratio, ma è l’unica cosa che i piccoli possono fare quando la maggioranza la pensa diversamente.
Quest’ultimo scritto mi sembra pieno di osservazioni giuste. Come si fa a fermare gli interessi degli investimenti, creare spazio nei tini e nelle botti, liberare le cantine per il nuovo vino e fare concorrenza agli altri vini nazionali ed internazionali. Per noi basta comprare una bottiglia ogni tanto e crediamo di avere il diritto di suggerire come devono fare gli altri anche arrivando a modificare un disciplinare. Ma se è successo che il vino BUONO è arrivato sullo scaffale a 9 euro perché non lo comprate e ne riempite le vostre cantine così chiudete il cerchio E LE AZIENDE HANNO FORSE RECUPERATO QUALCOSA ?? Voi avrete la possibilità di invecchiare il vino comprato per anni e trovarvi fortunati a bere del buon vino che avete partecipato a renderlo più’ apprezzabile.
Io capisco il problema . Ma dimezzare le rese “a gioco in corso” come qcn propone, sarebbe anche scorretto . C e chi ha fatto investimenti considerando certe regole . Non puoi cambiarle ex post.
Non so quale sia la soluzione. Pero secondo me il problema risale a dieci o 15 anni fa . Il consorzio di oggi , che può fare?
Dimettersi in blocco per manifesta incapacità
ok. Poi arriva un presidente nuovo. E concretamente, cosa dovrebbe fare?
Lei sostiene che sarebbe scorretto dimezzare le rese di raccolto in corsa (cosa che – peraltro – i migliori produttori gia’ attuano) ma, allora, quando farlo? Ex malis eligere minima… Certo, ci sarebbe la marcia su Roma dei peones, ma stavolta (a differenza dell’infausto precedente) i manifestanti potrebbero essere dispersi utilizzando degli idranti caricati con i barolo da 10 euro da loro stessi prodotti. Se la darebbero di certo a gambe levate!!!
Addio langhe bla bla bla
Ma non se ne doveva parlare più??????
Ho incominciato a leggerla per scoprire nuove degustazioni non per stare a sentire le sue diatribe con questo e con quello.
Oltre al fatto che di soluzioni ai problemi che pone ne vedo poche, più che altro polemiche.
Spero che i suoi articoli ritornino genuini al di sopra delle parti
Lo sono sempre stati
Ziliani ma la sua soluzione quale sarebbe? Cosa si dovrebbe fare in langa.? Capisco sollevare il problema . Ma chiudere il discorso così è sterile. Il nuovo consorzio cosa dovrebbe fare?
non sta a me, ora, indicare le soluzioni. Quando ci saranno un presidente e un Cda all’altezza le darò. Professionalmente a questo punto, sono stanco di fare il piciu…
Un po comodo però così, Ziliani. La vedo preparatissimo per una brillante carriera politica all opposizione eheh
non faccio politica da quando avevo 18 anni e militavo nel Movimento Sociale Italiano, militanza lontana che rivendico con orgoglio.
Non ho intenzione di darmi alla politica e all’opposizione sono e sarò sempre
La soluzione che vedo io è che si espiantino o sostituiscano viti di nebbiolo nelle zone meno vocate . Fattibile però solo se i proprietari verranno, giustamente, indennizzati . Non facile .
Il peccato originale , tuttavia, a mio parere risale a qualche consorzio indietro nel tempo.
fenomeno, chi dovrebbe indennizzare i proprietari di vigneti di Nebbiolo posti in zone meno vocate che verrebbero espiantati o sostituiti con altre varietà?
Ma lei é consapevole delle scempiaggini che dice?
Avesse chiesto in maniera educata le esprimerei il mio parere.
Ma forse lei preferisce andare avanti con le sue battaglie ideologiche senza alcuna soluzione pratica da proporre .
Al Consorzio c’è gente pagata per trovarle. Mi paghino una consulenza e io presento un pianok organico. Gratis no, non soko un piciu. Io. Altri?
Suvvia Franco, non sia troppo severo con Ale ( aha, questi pseudonimi… ). Credo che egli intenda dare un volenteroso contributo alla causa. Certo, non e’ quella dell’espianto la via giusta da seguire. Coltivino pure il loro nebbiolo figlio di un Dio minore, ma non sotto l’egida della sacra denominazione Barolo. Ed il solo modo per evitare che cio’ avvenga e’ quello di ridurre drasticamente le rese di raccolto. Per costoro insomma il gioco non varrebbe la candela
Il nuovo Consorzio dovrebbe prima di tutto prendere atto degli errori fatti. Trasformare un prodotto unico in una commodity, dove si vende il prezzo non la unicità è il primo errore. Poi organizzarsi per rimediare agli errori. Ridurre la produttività per ettaro, promuovere le MGA, magari crearsi la propria entità per esempio qui in America come Importatore e smaltire qui, a prezzi nettamente differenti, le eccedenze di magazzino. Ma riconoscere gli errori sarebbe il primo passo
Riccardo ma ridurre le rese per ettaro, a gioco in corso, non mi pare ne possibile né onesto. A meno che siano tutti d accordo. C e gente che ha investito sulla base di certe regole . Cambiarle poi non è fair, mi pare.
Con i Barolo in svendita lei perde tempo a chiedersi se ridurre le rese sia fair? Lei è ridicolo. Servo di Ascheri?
Capisco che possa sembrare ingiusto ma le regole si fanno e poi, se non funzionano, si cambiano. E’ meglio produrre il 15% in meno oppure incassare il 30% in meno?
Giusto per dare due numeri, il produttore che ha messo in vendita il Barolo a 9.99€ vende ad un importatore qui in America, che all’ingrosso, il Vite Colte 2013 lo da a 32.89$. All’ingrosso, non al dettaglio. Poi chi come me lo puo’comprare all’ingrosso lo vende, branca e taca a poco meno di 50$ piu la tassa locale, da noi il 9%, e non c’è l’IVA qua. Quando lo dai alla Grande distribuzione che lo vende a 9.99 iva inclusa, (cioè a 8.18 iva esclusa) non puoi non darglielo che a 5 o 6 euro, magari meno.Se invece il Consorzio lo portasse qua con la propria licenza d’importazione (costo trasporto più dogana piu’ accisa 1$ su container da 20 piedi) lo potrebbe tranquillamente vendere a distributori a 15$ a bottiglia, loro lo vendono a me a 20$ e io (o chiunque altro con una licenza al dettaglio) lo vendo a 30$.
Ho letto che all’inizio della pandemia il Consorzio del Parmigiano compro’ mezzo milione di forme per farne una riserva speciale di 48 mesi, alleviando quindi i produttori di forme invendute e calmierando allo stesso tempo i prezzi. Vorrei sapere se il Consorzio del Barolo ha i mezzi per fare la stessa cosa.
Soluzione troppo intelligente per le menti piccole dei responsabili attuali del Consorzio