Degustazioni
Don Blasco 2009 Feudo Cavaliere: salvate il soldato Platania!
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4 mesi fail

SOS per una produttrice distratta e pasticciona da salvare. Da se stessa innanzitutto..
Lettori di Vino al vino, appassionati dei vini della Muntagna, fan dell’Etna, amici di Trinacria, picciotti e picciotte, vi segnalo un’emergenza umanitaria.
Sos Platania, che non è il nome di una nave carica di invasori africani, che le Ong, facendoci sopra il loro consueto sporco business, dovrebbero salvare affinché possano sciamare come cavallette nel territorio italiano e far segnare al fenomeno dell’invasione un allucinante + 300% dati al 14 ottobre (oggi è peggio) relativi al numero indecoroso di migranti sbarcati in Italia quest’anno rispetto al 2019. Quando al posto di una Ministra che dovrebbe essere mandata a casa a fare la calza non c’era certo un fenomeno, ma il cazzeggione da Papeete..

Sos non per un barcone dunque, ma per una bedda fimmina sicula, anzi etnea, catanese, inconsapevole di sé, proprietaria di un’azienda che occorre con urgenza in qualche modo commissariare (io propongo la mia candidatura), per impedire che un patrimonio di qualità venga disperso, sprecato e gettato al vento. Questo nonostante ci siano vigneti vocatissimi, situati nelle posizioni migliori della Muntagna, nonostante l’immagine italiana e internazionale dell’azienda di cui parliamo, Feudo Cavaliere, sia ancora buona e alta. Nonostante la qualità di tutti i vini sia impeccabile.
Il problema, e qui sta il busillis, è Idda (che non è il nome dei vini fatti sull’Etna da Gaja in società con Graci) ma una femmina confusa e felice e inconsapevole, un personaggio che con terminologia wagneriana definirei, manco fosse Parsifal, la pura folle…
Margherita Platania, ‘a beddissima fimmina da salvare, fa grandi vini, e forse, dico forse, ne è consapevole. I problemi nascono dopo, perché nel mondo del vino di oggi non basta produrre buoni vini e ad un prezzo corretto (e i vini di Feudo Cavaliere, l’azienda di Margherita che “appartiene fin dal lontano 1880 alla famiglia Platania D’Antoni e oggi è oggetto di rivisitazione su progetto di una discendente. L’azienda degrada dai 1000 ai 900 mt s.l.m. nel versante Sud del vulcano”) hanno un ottimo rapporto prezzo qualità ma occorre saperli promuovere, raccontare e vendere. Occorre essere un punto di riferimento solido, puntuale, preciso e affidabile per chi ha la ventura di doverli vendere e proporre (ai ristoranti, alle enoteche, al consumatore finale) e su questo, ahimé, Donna Margherita è una frana, uno tsunami, una colata lavica. Nu disastro…

Perché dico questo? Perché ho toccato con mano questa emergenza ed essendo affezionato all’azienda e in fondo anche a Idda (mesi fa scherzando le dissi al telefono “in una prossima vita, quando non sarai felicemente sposata con quel santo del tuo attuale marito, ti farò la corte”) penso che dobbiamo tutti metterci una mano sulla coscienza e aiutarla. Creare una task force composta da psicologi, estetiste (a lei piace molto andare a farsi fare manicure e pedicure) tecnici informatici, operatori telefonici, elettricisti, ed esorcisti…
Vi avverto: non provate a telefonarle al numero di telefono della cantina o al suo cellulare: Idda risulta da illo tempore (avevo persino pensato di rivolgermi a Chi l’ha visto) irreperibile. Se la si chiama rispondono sempre, da circa un mese, segreteria o telefono non raggiungibile. Se le si manda una mail (sul sito Internet, sempre in ossequio alla correttezza dell’informazione, è indicato un indirizzo di posta elettronica che non funziona da tempo, mica quello giusto, sarebbe troppo facile..) non rispuonne. Agli sms nemmeno, a WhatsApp manco p’a capa…
E’ veramente un caso umano, tanto che sia l’amica Francesca Camerano, ovvero Ardesiaco, barolese in missione speciale à Paris per fare conoscere un po’ di nostri vini di qualità ai “mangiarane”, per la quale avevo selezionato il suo Etna bianco Millemetri, sia un amico livornese, il Pezzuti, ottimo rappresentante di commercio nelle province di Livorno, Lucca e Pisa, che avevo messo in contatto con Issa perché potesse vendere i suoi vini nelle zone di competenza (e i due si erano parlati e avevano trovato un ipotetico accordo rimasto poi lettera morta…), hanno rinunciato, gettato la spugna, l’hanno archiviata e considerata desaparecida.
Forse caduta nel cratere del vulcano, forse rapita da Bacco, forse fuggita, chissà, con un bellimbusto di cui sono clamorosamente geloso (perché lui sì e io no?) ma, incredibile nell’era di Internet e dell’iper connettività e interconnessione, sparita nel nulla.
Eppure, mannaggia a lei e alla sua adorabile svenevolezza e sventatezza (lei è superiore alle cose terrene: mi dicono, unica sull’Etna a farlo, che stia ancora vendemmiando, forse medita la produzione di un Etna versione ice wein, forse procede alla vendemmia acino per acino, manco fossimo ad Yquem…) i suoi vini sono uno sballo, così buoni che quando si pensa che è lei a produrli e soprattutto a doverli vendere, ci si mette le mani nei capelli, si è presi da una leopardiana disperazione.
Ieri sera, ad esempio, mi sono aperto non uno dei suoi Etna (bianco, rosso o rosato, poco cambia, tutti strepitosi) ma un vino che reca in etichetta il nome Don Blasco (mizzica: forse un cugino di Vasco Rossi?) e viene rivendicato come Sicilia Igt. Un vino che lei mi mandò mesi fa (quando era ancora reperibile, quando il mondo aveva ancora notizie di lei, quando non si era ancora persa nei meandri della sua mente deliziosamente incomprensibile..), annata 2009, di cui sul sito Internet si legge trattarsi di un vino rosso prodotto con uve Nerello Mascalese (80 e più anni) provenienti da un vecchissimo vigneto pre-fillossera posto sul versante Etna Sud, a 950 metri di altezza, viti allevate ad alberello posti su terreni composti di sabbie vulcaniche e “ripiddu”, ricchi di minerali tendenzialmente acidi, ben esposti e ventilati.

Uve raccolte a piena maturità a fine ottobre inizio novembre (quindi a quest’ora la vendemmia la Platania dovrebbe averla ultimata, ma valla a capire…) e vino affinato in legno di rovere francese (non ci viene detto se botti grandi, tonneaux o barrique, io penso siano le prime) per 18-20 mesi, affinamento in bottiglia per un anno.
E qui i conti continuano a non tornarmi, perché ho assaggiato il vino, anzi non mi sono limitato ad assaggiarlo, ne ho bevuto copiosamente e ho continuato a versarlo nel Wine Wings di Riedel, tanto era buono, sempre più ammirato, e contemporaneamente inca…o pensando che a produrlo era, non si sa come, Idda, ho scorso le note di degustazione del vino che si trovano sul sito e mi sono detto: ma chisti l’assaggiarono mai ‘o vino loro?

No che non possono averlo assaggiato, non lo conoscono, non hanno capito, loro che lo fanno!!!, che razza di vino sia, visto che le farneticanti note parlano di “profumo floreale” che non ci sta manco a cercarlo con il binocolo, di profumo “intenso con piacevoli ed eleganti note legnose”.
A parte il fatto, Margherita bedda, che una nota legnosa non è MAI piacevole e MAI elegante, ma potresti spiegarmi dove m…..a le trovasti ‘ste benedette note di legno che per fortuna non ci sono?
Non per insegnare a te e a quei martiri dei tuoi collaboratori il loro mestiere, cosa che, credimi, potrei fare benissimo, ma ecco quello che l’assaggio del tuo spettacolare Don Blasco 2009 ha suggerito a me e suggerirebbe a chiunque, a differenza da te, fosse presente a se stesso e avesse un minimo di lucidità e consapevolezza…

Colore rubino violaceo intenso profondo, brillante, naso finissimo, denso, intenso, di grande profondità carnosa, purezza e integrità, giocato su note di amarena, liquirizia, alloro, marron glacé e note affumicate da terra e pietra lavica, e poi balsamiche e mentolate.
Bocca avvolgente, sensuale, gusto denso ma fresco, profondamente terroso con uno spiccato carattere che gli anglosassoni definirebbero fleshy, fruity as a plum, e una persistenza infinita.
Sul sito Internet voi ne suggerite e qui non sbagliate, incredibile ma vero!, l’abbinamento a stufati e arrosti importanti di carne rossa, selvaggina. Primi piatti a base di ragù di cinghiale. Formaggi stagionati e pastosi. Salumi, ma io me lo sono goduto, minchia se me lo sono goduto!, su dei banalissimi ravioli industriali di una nota industria veronese con un ragù in scatola e non su quel maialino nero dei Nebrodi con cui secondo me andrebbe a nozze, ma accidenti quanto era buono, forse uno dei più grandi rossi dell’Etna che abbia mai bevuto.
Insomma, un capolavoro. ma ora chi glielo fa a dire a Donna Margherita, chi si prende la briga di provare a risvegliarla dal suo sonno di bedda addormentata della Muntagna?
Baciamo le mani a vossia!
n.b.
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Due brevi note di presentazione Sono nato a Milano nel 1956 e dal 1966 vivo in provincia di Bergamo. Giornalista pubblicista dal 1981, dal 1984, dopo aver collaborato, scrivendo di libri, cultura, musica classica e di cucina, a quotidiani come La Gazzetta di Parma, Il Giornale, La Gazzetta ticinese e Il Secolo d’Italia, mi occupo di vino. Per diciotto anni, sino all’ottobre 1997, sono stato direttore di una biblioteca civica. Continua a leggere ...

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