Mon coeur mis a nu...
Cirò rosato Segno 2019 Librandi
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4 mesi fail

Un rosato esemplare alla portata di tutti e un amico che ti scalda il cuore…
Ieri sera sono stato molto felice… Tranquilli, non ho vinto (anche perché non ho mai giocato) al Lotto, Enalotto, Totocalcio et similia, non ho accettato come dovrei invece fare, dimenticando che le minestre riscaldate sono spesso avvelenate, di mettere una pietra sopra ad una storia che mi illudo di riaprire ma di fatto dimostra di essere finita e manca dell’energia giusta per ripartire. Non ho ricevuto il segnale atteso da parte di una misteriosa persona che mi ha spettinato il cervello. Non ho bevuto nemmeno, ne avevo qualche bottiglia in cantina ma i casi e le necessità della vita mi hanno costretto a “privarmene”, il vino che amo su tutti, il Barolo Monprivato riserva Cà d’Morissio, 2001 o annate precedenti, del mio amico Mauro (Giuseppe) Mascarello.
Molto più semplicemente ho stappato una bottiglia, prodotta non in numeri da amatori e da boutique winery ma in ben 50 mila esemplari che da Esselunga potete portarvi via (e vi consiglio caldamente di farlo) a 5,50 euro, e immediatamente sono stato travolto dalla piena di ricordi bellissimi e indimenticabili, sono tornato al 1994, quando con Eliana (allora ancora mia moglie) e nostra figlia Valentina sono sceso nell’incanto di sole, mare, sardella e ospitalità avvolgente, di Cirò marina vicino a Crotone, nella magica Calabria…
E ho ricordato un amico carissimo al quale voglio un gran bene e che mi ha fatto capire tante volte, andandolo a trovare laggiù, in giro per vigneti assolati in riva al mare, o nella sua moderna cantina attrezzata con le migliori tecnologie o incontrandoci al Vinitaly, quanto sia difficile ed eroico per certi versi fare qualità ed essere imprenditore alla testa di un’azienda da un paio di milioni di bottiglie non in Piemonte o in Toscana, ma nella terra dell’Aspromonte e della bastarda fottuta bottanissima ndrangheta.
Ho aperto, erano un paio d’anni che non lo facevo, una bottiglia del Cirò rosato Segno 2019 dell’azienda che anche se nella Calabria del vino si stanno muovendo tante belle cose e a Cirò marina c’è stata una bellissima e feconda Cirò revolution e un po’ in tutta la regione c’è un fermento enoico stupendo, che coinvolge tanti piccoli vignaioli come Mariolina Baccellieri, Sergio Arcuri, Cataldo Calabretta, è tuttora il simbolo del vino calabrese, avrete sicuramente capito, parlo di Librandi. Quanti ricordi meravigliosi dell’evoluzione, delle iniziative, delle straordinarie cose fatte in cantina ma soprattutto in vigneto, nella mirabolante tenuta di Rosaneti, che tanti anni fa vidi quando era solo una distesa di terra feconda baciata dal sole, e non c’era una sola vite, dai fratelli Librandi, Tonino, che oggi ci sorride dal paradiso dei grandi, e Nicodemo. Uno dei più grandi personaggi del vino, un Gaja, uno Zanella, un Antinori della Calabria, che abbia mai conosciuto. E di cui mi onoro di essere stato e sono ancora amico, anche se i casi della vita negli ultimi due tre anni hanno impedito che ci frequentassimo come un tempo.
Oggi più che mai Librandi, con il lavoro incredibile di ricerca e sperimentazione fatto in vigneto, recuperando e portandolo a grandezza con un vino fenomenale come il Magno Megonio un vitigno come il Gaglioppo e poi il Mantonico con l’Efeso, e consentendo all’uva identitaria di Cirò, il fantastico Gaglioppo, di esprimere tutte le sue infinite sfumature, è simbolo di quella
Calabria, quella degli Amarelli re della liquirizia a Rossano Calabro, di Pinuccio Alia, oste straordinario in quel di Castrovillari, del grande produttore di tonno in vasetto Pippo Callipo, della coraggiosa governatrice Jole Santelli, dell’ancora più coraggiosa Giusy Versace, che adoro e che vorrei sempre essere agli onori della cronaca.
E non quella rappresentata da mascalzoni farabutti indecenti che diffondono in Italia un’immagine della terra dei bronzi di Riace, del bergamotto, della dolcissima cipolla di Tropea, che non corrisponde alla realtà.
Così, gustandomi, tanto per restare nel supermercato creato dal grande Bernardo Caprotti, quello di un libro capolavoro come Falce e carrello, un piatto di orecchiette fresche e pesto comprati da Esselunga, mi sono gustato, bicchiere dopo bicchiere, il Cirò rosato dei Librandi – ora Nicodemo ha rallentato un po’ il suo ritmo forsennato che l’ha portato a conquistare la Germania, il Nord Europa e poi il mondo, ed è il momento dei suoi bravissimi figli Paolo e Raffaele – (che per inciso è anche presidente del Consorzio Cirò Doc e curiosamente si è dimenticato un paio di anni fa, quando ha organizzato una manifestazione a Cirò, di un giornalista che scriveva di loro e dei vini cirotani quando buona parte dei giornalisti invece invitati non sapevano nemmeno dove fosse Crotone…) ammirandone il colore melograno scarico, corallo, brillante e luminoso e perdendomi nel cogliere le sfumature aromatiche cangianti dal lampone alla ciliegia alla pesca noce agli agrumi, alle erbe aromatiche, il tutto in una cornice aerea e salata, tutta sole e mare.
E mi sono beato, coccolandomi sul palato il frutto avvolgente e carnoso, il gioco perfettamente bilanciato tra dolcezza e sapidità, l’acidità impeccabile, la coda lunga e viva e l’armonia del vino. Merito delle uve, provenienti da vigne in Cirò, Cirò Marina, Crucoli, Melissa, e del vinificatore, ma anche di un team tecnico, capitanato dal re degli enologi italiani, che ho contribuito in prima persona a portare nella cantina del Duca San Felice e del Gravello.
I Librandi ricordano di certo che fu io, quando il professore aveva appena acquistato la tenuta di Rosaneti e l’allora suo enologo consulente, il grande Severino Garofano, aveva dimostrato i suoi limiti con lo scetticismo manifestato apprendendo la notizia di essere un grande “miscelatore” di vini, ma di non avere la giusta sensibilità per il lavoro in vigna, a consigliare a Nicodemo che mi diceva che doveva per forza cambiare consulente e che con Severino si era rotto un lungo e proficuo lavoro di collaborazione, di passare a Donato Lanati. Ed ero presente quel giorno, e c’era anche Eliana, che l’uomo di Enosis Meraviglia (da non dimenticare mai il suo braccio destro, la fantastica Dora Marchi) scese per la prima volta a Cirò e dopo un’intera giornata spesa con Nicodemo in cantina gli dimostrò inequivocabilmente che il vino che aveva ancora in affinamento nei serbatoi di acciaio e nelle botti era migliore e con potenzialità ben superiori a quello, pur ottimo, che era già in bottiglia…
L’espressione di Nicodemo di fronte ad una cuvée preparata all’impronta, da gustare a cena con le squisitezze preparate da quella grande cuoca che è Vincenza, la meravigliosa moglie del “professore”, non la posso dimenticare… era al settimo cielo…
E così ieri sera, rapito e conquistato dalla bontà del Cirò rosato Segno, vino dal rapporto prezzo qualità insuperabile, come dice il buon Pinuccio Alia, dalla bellissima etichetta (che spero rimanga per un po’, visto il continuo e un po’ vorticoso continuo restyling alle quale negli ultimi 15 anni sono state sottoposte..), ed emozionato dal ricordo di tante giornate cirotane, di un mare che più bello l’ho trovato solo lo scorso agosto in Croazia, di scorpacciate di sardella e saraghi, di sarde arraganate, parmigiana di melanzane e di fiumi di quel rosato e degli altri vini bevuti dal 1994 in poi, ho provato a fare un numero di telefono Un numero che negli ultimi due anni ho provato tante volte a chiamare, ma dall’altra parte un misterioso silenzio…
E ieri sera, exultate jubilate, per dirla con Mozart, il professore, il caro Nicodemo, che più passa il tempo più assomiglia al Santo Karol Wojtyla, ha finalmente risposto… Quello che ci siamo detti sono affari nostri, come la mia commozione per aver risentito un fraterno amico, una persona speciale, un Maestro di vino e di vita. Una bella persona, che mi è mancata tanto in questi anni un po’ difficili sia per me che per lui, perché gli anni passano, sono arrivati, a lui, non a me, i nipotini, i capelli imbiancano (in verità lui li aveva già di un bianco quasi albino) e occorre accettare che non si può più fare quello che si faceva a 40-50 anni, altrimenti si va in tilt…
Cari produttori calabresi, care Donne e uomini del vino della terra del peperoncino di Diamante e della stupenda Sila dai funghi porcini di inimitabile fragranza, fate sentire il vostro affetto e la vostra riconoscenza al professore. Se oggi fate grandi vini e li sapete proporre in Italia e nel mondo è in larga parte merito di Tonino e Nicodemo Librandi, pionieri e ambasciatori del vino calabrese di qualità, non dimenticatelo mai…
Da parte mia, ora che ti ho ritrovato e abbracciato, per ora solo telefonicamente, carissimo Nicodemo, eterno affetto e riconoscenza, ad un fratello più grande, ad un Uomo vero, un amico del cuore…
N.B.
Preciso che il vino in vendita da Esselunga a 5,50 euro non é la speciale selezione Cirò rosato Segno, ma il Cirò classico rosato con etichetta diversa, quella storicamente utilizzata da Librandi prima di creare la speciale selezione Segno. Fondamentalmente si tratta dello stesso vino.
n.b.
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Due brevi note di presentazione Sono nato a Milano nel 1956 e dal 1966 vivo in provincia di Bergamo. Giornalista pubblicista dal 1981, dal 1984, dopo aver collaborato, scrivendo di libri, cultura, musica classica e di cucina, a quotidiani come La Gazzetta di Parma, Il Giornale, La Gazzetta ticinese e Il Secolo d’Italia, mi occupo di vino. Per diciotto anni, sino all’ottobre 1997, sono stato direttore di una biblioteca civica. Continua a leggere ...

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