Degustazioni
Colli Tortonesi Derthona Timorasso 2018 Vietti & Langhe Rosato 2019 Diego Morra
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6 mesi fail

L’ennesima conferma che i vignaioli langhetti hanno una marcia in più
Allegria bella gente che ama il vino buono! Dalla zona che Bacco ha scelto come sua dimora, una zona che non è Bolgheri ovviamente, ma nemmeno Montalcino, la Franzacurta, o chissà cosa, arriva la notizia, che è notizia come dire che l’acqua è bagnata, la palla rotonda e la Juventus ottiene rigori che gridano vendetta al cospetto di Eupalla, che i langhetti, i viticoltori di Langa, hanno una marcia in più.
Due vini, assaggiati ieri in momenti diversi della giornata, in condizioni di sfrenata allegria pensando alle novità che oggi Sapori del Piemonte annuncerà, mi hanno dato l’ennesima conferma.
Non si tratta di Barolo, di quelli avremo tempo di parlare in decine di articoli che sto elaborando e che pubblicherò ad estate finita, quando le condizioni climatiche saranno più favorevoli alla stappatura e al consumo del Re dei vini, bensì di un bianco e di un rosato. Entrambi da uve autoctone piemontesi, Timorasso e Nebbiolo.
Il primo firmato, in trasferta, nei Colli Tortonesi, da quel cinquantunenne dei capelli brizzolati sale e pepe di un Luca Currado, alias Vietti winery (bisogna chiamarla così visto che la proprietà è dal 2016 born in Usa, la Krause Holdings), il secondo da un giovane talento di Verduno, il 36enne Diego Morra.

Due vini con storie diverse, il Colli Tortonesi Derthona Timorasso 2018 è uno dei primi frutti degli investimenti fatti dal direttore ed ex proprietario della storica azienda Vietti di Castiglione Falletto (grandi Barolo da vigne super come Villero, Brunate, Lazzarito, Ravera, Rocche di Castiglione, grandi Barbera d’Alba come il Tre Vigne, lo Scarrone e d’Asti come il Tre Vigne, ecc. ecc.), nella patria del Timorasso, ovvero i Colli Tortonesi.
Condividendo questa scelta di andare in trasferta per produrre un grande bianco da invecchiamento, come ho raccontato alcuni mesi fa, con una serie di altri colleghi langhetti: Andrea e Oscar Farinetti, Giorgio Rivetti, Luca Roagna, Cristina Oddero e figli, Pio Cesare e figlia. E un altro produttore di Langa, di La Morra precisamente, di cui non posso fare il nome ma il cui Timorasso verrà elevato alla gloria degli altari…
Le uve derivano da più vigneti situati nel comune di Monleale, con esposizione sud-est e sud-ovest. Il terreno è calcareo-argilloso. La fermentazione, di circa 4 settimane, viene effettuata in parte in ceramica, in parte in tina di legno e in parte in acciaio. Non viene svolta la fermentazione malolattica. Dieci mesi complessivi tra ceramica, tina in legno e acciaio, a contatto con le fecce fini mantenute in sospensione con ripetuti batonnage, per il 2018, 13 gradi alcol, che ho degustato.
Il secondo vino, un rosato, viene prodotto, da vigne allevate a Nebbiolo a Verduno e La Morra, dal giovane, è del 1984, beato lui, Diego Morra, cantina a Verduno e la grande chance di possedere un pezzetto di uno dei miei preferiti cru di Barolo e non solo di Verduno, il Monvigliero.

Nella Cascina Mosca i Morra, viticoltori da 3 generazioni, producono dagli anni Cinquanta, e oggi controllano 30 ettari di vigneti distribuiti tra i comuni di Verduno, La Morra, Roddi, e 20 ettari di noccioleti. Domenico, Antonio e Diego Morra, 3 generazioni e un’unica volontà di fare bene.
Esaurite le presentazioni, veniamo ai vini. Iniziamo dal produttore più giovane, da Morra, con il suo Rosato, Langhe rosato dal 2019, in precedenza, dal 2016, solo vino rosato, che ottiene da uve Nebbiolo in purezza, con due epoche di raccolta, la prima a fine agosto dove si ottiene un vino con spiccata acidità e alcolicità pari a 10.5 gradi, la seconda vendemmia avviene a ottobre per la produzione di langhe nebbiolo e Barolo. Il vino ottenuto dalla seconda vendemmia deriva dal salasso (contatto con le bucce per circa 6ore circa) e il risultato finale è l’unione dei 2 vini. Un voluto leggero residuo zuccherino, 4 grammi, dona la giusta morbidità al gusto lasciando il giusto spazio all’acidità. La produzione varia, a seconda delle annate, da 4000 a 5000 bottiglie.

Lo dico subito, pur con tutta la simpatia per Morra, non aspettatevi da questo buon rosato la complessità, la finezza, l’eleganza, la multidimensionalità, da me recentemente esaltate in questo articolo e prima ancora dieci anni fa, dedicato alla spettacolare annata 2019 di un altro rosato prodotto a Verduno, il trionfale Elatis di Fabio Alessandria, alias Comm. G.B.Burlotto. In quel caso si tratta di un miracoloso mix tra Nebbiolo, Barbera e un pizzico di Pelaverga, nel caso di Morra di un Nebbiolo in purezza.
Il risultato è comunque pienamente convincente, e si traduce in un rosato non piacione o ruffiano ma di più agevole codificazione rispetto al vino dei Burlotto/Alessandria.

Spettacolare il colore, tanto che mi ci sono perso nel bicchiere a rimirarlo, un melograno scarico brillante, rosa pallido, vivacissimo e luminoso, risplendente di mille riflessi e un naso nebbiolesco tutto piccoli frutti come ribes e lampone, striature agrumate, sale. La bocca è viva, cremosa, ampia, di piena soddisfazione, un frutto succoso e goloso, ma vitalizzato da una fresca acidità che dà slancio e lunghezza al gusto e piacevolezza simpatica alla beva.
Il Colli Tortonesi Derthona Timorasso 2018 di Luca Currado conferma per l’ennesima volta le enormi potenzialità e la personalità del Timorasso, che ha trovato nella zona resa famosa e grande da Walter Massa la sua heimat. Con tutto il rispetto per il coscienzioso barolista di Monforte d’Alba Ferdinando Principiano che, come ho raccontato due settimane fa, il suo Timorasso se l’è costruito, con buoni risultati, in Alta Langa.

Anche Luca propone, come Luca Roagna (ne riparleremo presto) un Colli Tortonesi (dalla bottiglia dal packaging da applausi tanto è bello) che non raggiunge ancora le vette raggiunte da Massa, da Elisa Semino, Claudio Mariotto e Ghislandi dei Carpini, ma che ha bisogno di tempo, in vigna e in bottiglia, per sviluppare appieno il suo grande potenziale.
Colore paglierino oro squillante, una bella consistenza nel bicchiere, naso intensamente e inconfondibilmente varietale, tutto fiori bianchi, agrumi, sale, pietra. Bocca fresca e incisiva che lascia il posto progressivamente ad una sensazione più orizzontale che verticale, di grassezza e consistenza, ed un vino, ancora giovanissimo (forse è un delitto stappare oggi il 2018) che ha indubbia eleganza, freschezza e forse denuncia un alcol leggermente eccessivo, 13 gradi l’indicazione in etichetta, che sembrano di più.

Due bei vini, goduti a casa nella prima domenica di luglio, che hanno provocato in me il consueto effetto: una divorante nostalgia della “mia” Langa ed una pazzesca voglia-esigenza-urgenza di tornarci prestissimo.
Cosa di meglio della sacra terra del Barolo, del Barbaresco, della Nascetta, del Verduno Pelaverga e di una Docg, l’Alta Langa, che cresce sempre più? Non vedo l’ora di tornarci canticchiando questa canzone di Paolo Conte…
n.b.
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Due brevi note di presentazione Sono nato a Milano nel 1956 e dal 1966 vivo in provincia di Bergamo. Giornalista pubblicista dal 1981, dal 1984, dopo aver collaborato, scrivendo di libri, cultura, musica classica e di cucina, a quotidiani come La Gazzetta di Parma, Il Giornale, La Gazzetta ticinese e Il Secolo d’Italia, mi occupo di vino. Per diciotto anni, sino all’ottobre 1997, sono stato direttore di una biblioteca civica. Continua a leggere ...

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