Interrogativi
Asprinio di Aversa: ma Luciano Pignataro conosce i migliori vini della propria regione o no?
Pubblicato
10 mesi fail

Ma come “cacchio” se li sceglie i collaboratori e quale competenza hanno?
Una volta, illo tempore, mi ero convinto, chissà perché, che Luciano Pignataro fosse il giornalista più informato e competente del panorama enogastronomico campano. Una volta…
Poi frequentandolo, assaggiando più volte con lui quando entrambi collaboravamo (io con un peso ben maggiore di chillo, Jancis Robinson, altri MW e vari importatori da tutto il mondo li avevo portati io in Puglia non lui…) alla manifestazione di Nicola Campanile Radici del Sud, e vedendo come scegliesse i collaboratori al sito Internet che porta il suo nome, come lasciasse al proprio destino dopo averla “coccolata” per anni un’eccellente degustatrice come Marina Alaimo, per dare spazio ad una nuova “fiamma” (solo metaforicamente parlando, ça va sans dire) come la giovane e bella sommelier Adele Elisabetta Granieri, che recentemente ci ha regalato un articolo dal titolo “Dieci vini italiani della gioia da bere oggi” il cui titolo meriterebbe un ripasso di sintassi e grammatica (cosa diavolo vuol dire?) e che si risolve nella selezione di dieci vini scelti a caso senza alcun filo logico che li colleghi, mi sono abituato a non aspettarmi granché da lui, anzi…

In fondo, anche se non è più il “ras” di un tempo, quello che oltre al proprio sito Internet era caporedattore del Mattino di Napoli e curava le pagine enogastronomiche sul quotidiano napoletano, era responsabile per il sud della guida dei ristoranti dell’Espresso e di quella dei vini di Slow wine, manteneva le proprie certezze in chi lo leggeva.
Continuava a scrivere e parlare bene dei vini di Feudi di San Gregorio, aveva un debole per i vini curati dall’enologo Vincenzo Mercurio e da Riccardo Cotarella, e nonostante larga parte dei suoi articoli siano scritti in un italiano “immaginifico”, uno strano mix tra Luca Maroni e la buonanima di Veronelli, continua, credo per antica amicizia e consuetudine, a pubblicare le prose di tale Enrico Malgi, uno che riesce a scrivere oltre che di vini pugliesi e del Sud persino di uno sconosciuto Amarone della Valpolicella prodotto in 576 esemplari e venduto a 68 euro, e che scrivendo di un Aglianico del Vulture 2015 ci regala capolavori di prosa quali “colore rosso rubino intenso e spavaldo, soltanto leggermente screziato di purpurea giovinezza”, e ancora “bouquet che dall’ampio crogiolo attinge un ventaglio di elegiaci profumi per sottoporli all’attenzione del naso”, “respiri speziati di vaniglia, noce moscata, pepe nero e chiodi di garofano. Sospiri terziari di resina, china, grafite, cioccolato”, pensavo però che sui vini della propria regione, Campania felix, Pignataro fosse un’autorità. E che i collaboratori che ne scrivono li sapesse scegliere…

Così pensavo, poi mi sono imbattuto in un paio di articoli di una collaboratrice casertana del “boss”, tale Antonella Amodio, già degustatrice (leggo sulla sua pagina Facebook) del Gambero rosso e Bibenda, autore presso Doctor wine, giornalista presso Cucina a sud, general manager presso Biondi Santi, e mi sono dovuto ricredere.
Perdoniamola, del resto a Lucianone come ho detto i vini di Cotarella e quelli dei potenti piacciono, per l’articolo sul Bianco dei Vespa, ma come non rimanere basiti, stuQpefatti da un capolavoro di “poca informazione” siffatto, quando leggendo un articolo della Amodio dedicato a quell’unicità vitivinicola, enologica, viticola che è l’Asprinio di Aversa cresciuto maritato alle alberate nella zona di Aversa, ho scoperto che tra “le cantine protagoniste” mancava quella di Salvatore Martusciello a Quarto?
Possibile che dell’Asprinio di Aversa Trentapioli riesca a scrivere, come ho fatto pochi giorni fa, a Bergamo dove vivo e che Pignataro e la sua collaboratrice di Caserta riescano ad ignorare quell’azienda? La conoscono e se la conoscono perché la ignorano e non la inseriscono tra le “cantine protagoniste” del panorama dell’Asprinio di Aversa?
In attesa di avere una risposta che non ci sarà non ho dubbi: il premio tornate a scuola e rivedete le bozze prima di pubblicare per il 2020 a Madame Amodio e all’ex boss Lucianone Pignataro sono assicurati. Chapeau “grandi esperti” di vini campani, avanti così…
p.s. mi segnalano che la Amodio e Pignataro avrebbero corretto il loro clamoroso strafalcione. Come diceva il mitico Maestro Manzi “non è mai troppo tardi”…
Due brevi note di presentazione Sono nato a Milano nel 1956 e dal 1966 vivo in provincia di Bergamo. Giornalista pubblicista dal 1981, dal 1984, dopo aver collaborato, scrivendo di libri, cultura, musica classica e di cucina, a quotidiani come La Gazzetta di Parma, Il Giornale, La Gazzetta ticinese e Il Secolo d’Italia, mi occupo di vino. Per diciotto anni, sino all’ottobre 1997, sono stato direttore di una biblioteca civica. Continua a leggere ...

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Sinceramente non ne conosco le ragioni ma leggendo spesso con le dovute attenzioni le sue recensioni sono giunto alle conclusioni che l’Amodio si dimentica spesso dei migliori vini della regioneFM
Conosciamo tutti il metodo di ‘iss…. la competenza ne è esclusa 😉