
Chiamatemi illuso, ingenuo, come volete, se sono deluso perché anche quest’anno non vedrò realizzata quella che potete tranquillamente classificare come un’illusione, come un sogno irrealizzabile.
A differenza dalla stragrande maggioranza degli operatori e osservatori del mondo del vino italiano non mi sono rassegnato all’idea che i consumi interni pro capite debbano inevitabilmente continuare a calare (oggi sono intorno ai 35 litri, ma c’è chi valuta siano ancora meno), e che per stare in piedi e continuare a funzionare la filiera debba giocoforza puntare sull’export. Considerando il mercato interno sempre più secondario.
Certo, la crisi economica in Italia morde ancora, la ristorazione non sta ancora meglio e in tanti locali il problema continua ad essere non vendere ma incassare, però non è possibile, anche a fronte della potenza delle varie “bevande” alternative, questo atteggiamento di rassegnazione di fronte al ristagnare e calare dei consumi in quello che continua ad essere il primo o secondo Paese produttore di vino del mondo.
Mi sembra impossibile che, pur rispettando il tema conduttore del bere moderato e consapevole, di un approccio al vino completamente diverso rispetto a quello che in passato lo vedeva come alimento, non si tenti una piccola riscossa, non si provi a fare qualcosa, a dare un segnale della volontà di invertire la rotta.
In Italia esistono e agiscono una serie di associazioni che si occupano di tutelare, promuovere, allestire progetti, raccontare cos’è il vino, quale valore storico, culturale, economico abbia per il nostro Paese. Spesso e volentieri queste associazioni agiscono in ordine sparso e non riescono a coordinarsi come sarebbe invece opportuno. Hanno organismi gestionali, bilanci, sfere di competenza diverse.
Nella mia ignorante ingenuità penso che in questo caso, di fronte alla logica ineluttabile che porta a credere che valga la pena partire armi e bagagli per andare a vendere in qualsiasi paese estero piuttosto che in Italia (beh, una logica c’è: la sicurezza del pagamento, o anticipato o con tutte le garanzie ed in tempi brevi), il mondo del vino italiano unito avrebbe – sempre che la UE lo consenta – potuto inventarsi un’operazione d’immagine e comunicazione.
Tutti noi in questi giorni assistiamo allo spettacolo degli spot pubblicitari relativi a prodotti tipicamente natalizi come il panettone o altri cibi. E tutti ci dovremmo essere accorti di un’assenza, quella di un prodotto che, soprattutto a Natale, non mancherà (non dovrebbe) sulle nostre tavole, qualche buona bottiglia di vino. Preferibilmente italiano.
Il mio sogno è quello di uno spot pubblicitario, trasmesso sui più importanti network, molto semplice, molto diretto, che presenti una tavolata di Natale con i piatti giusti (senza inutili sfarzi, che non è tempo di eccessi) delle tradizioni gastronomiche italiane, con gli ospiti che versano e gustano vino, che dimostrano di apprezzare la genuinità del vino ed il fatto che venga bevuto in accompagnamento ai cibi.
E per completare il tutto un messaggio tipo “non c’è tavola di Natale senza vino” (vorrei precisare italiano, ma temo che a Bruxelles storcerebbero il naso), oppure “un po’ di vino, anche sulla tavola di Natale, non ha mai fatto male a nessuno”, o ancora “non penserete di gustare i piatti di Natale bevendo acqua o birra? Stappate buoni vini e festeggiate con gusto!”.
Sono consapevole che dei veri pubblicitari avrebbero trovato slogan molto più efficaci dei miei, ma quel che mi interessava era rendere l’idea di quello che, unendo le forze, il mondo del vino italiano avrebbe potuto fare e per vari motivi non ha fatto. Diffondere un’idea comune e positiva del consumo (moderato) di vino, trasmettere il concetto secondo cui il pranzo di Natale non può prescindere dalla presenza del vino, sottolineare come il vino sia un prodotto storico che appartiene alla tradizione e alla cultura europea.
E dimostrare come si creda ancora che il vino, quello italiano, quello francese, o spagnolo ecc., possa continuare ad essere un prodotto destinato in larga parte al consumo interno e non solo alla vendita in Paesi dove magari saranno puntuali nei pagamenti ma che di quello che il vino ha significato per milioni di persone in Europa non sanno (ancora) nulla. O quando sanno, sanno poco.
Ma poiché è tempo di business (se ci si riesce) e non di poesia ecco perché il mio spot televisivo resterà solo un’utopia…
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