
Un grande rosato ristabilisce l’autenticità del vino contro la falsità dei “vini di plastica”
Penso sia naturale, se si ha rispetto del vino, se si ha una certa idea del vino maturata magari frequentando Gino Veronelli, se si è cresciuti con una certa idea del vino alla quale si sono dedicati e conformati trent’anni della propria vita professionale, provare ribrezzo di fronte ai video, diffusi in rete da qualche cronista più realista del re e conformista come pochi, del cosiddetto “evento” di sabato 26 settembre, correttamente descritto da Wine News in questo articolo, in questi termini: “ Il politico, i cantanti, il conduttore televisivo o i grandi imprenditori, tutti accomunati da una grande ambizione: piantar vigna e vestire i panni del produttore di vino.
E’ il fil rouge che, oggi ad Expo, ha riunito, su iniziativa del Comitato Scientifico del Padiglione Vino (emanazione del Ministero delle Politiche Agricole), guidato da Riccardo Cotarella, i cantanti Gianna Nannini (Certosa di Belriguardo, in Toscana) e Al Bano Carrisi (Tenute Al Bano Carrisi, in Puglia), l’anchorman Bruno Vespa (Futura 14, in Puglia), gli imprenditori Luisa Todini, presidente di Poste Italiane (Cantina Todini, in Umbria), il petroliere Gian Marco Moratti e Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti, ex sindaco di Milano (Castello di Cigognola) e Oscar Farinetti, patron di Eataly e proprietario delle cantina Fontanafredda e Borgogno, in Piemonte, e l’ex Presidente del Consiglio Massimo D’Alema (La Madeleine, in Umbria). In un’inedita degustazione i “vignaioli vip” hanno proposto, uno accanto all’altro, i loro migliori vini, raccontando la loro esperienza di vigneto”.

Trovo legittima, visto quello che Expo è e rappresenta, questa oscena rappresentazione, che coinvolge personaggi, di varia estrazione e storia, che con il vino vero non hanno nulla a che fare e che ne condividono una visuale posticcia e “cotarellata”. Mi dà solo grande malinconia leggere che in questa loro messa in scena fossero “coadiuvati dai più importanti giornalisti specializzati nella critica enologica” (tra loro purtroppo un collega con cui ho lungamente “leticato” ma la cui capacità nel valutare i vini non si discute, Daniele Cernilli), che inconsapevolmente si sono calati nel ruolo dei “collaborazionisti” di questo regime – cupola del “vino di plastica”.
Procura nausea, ma non sorprende più di tanto che ad Expo il cosiddetto Comitato Scientifico del Padiglione Vino, faccia cose simili. Indigna, ma non più di tanto, sempre di un membro del governo Renzi si tratta, che questo comitato sia emanazione del Ministero delle Politiche Agricole, che in teoria dovrebbe occuparsi di diffondere e difendere un concetto del vino ben diverso e scacciare, e non accogliere, i mercanti, i Massimo D’Alema, i Bruno Vespa, i Gian Marco Moratti, gli Oscar Farinetti, le Marilisa Allegrini, dal tempio…

Per fortuna, mi sono detto, non tutte le donne e gli uomini del vino sono così, ci sono ancora tantissimi vignaioli veri che il vino lo fanno, e lo onorano, come Bacco comanda, che non si sognerebbero mai di rincorrere e blandire le guide, di ricorrere, ancora nel 2015!, all’enologo consulente, anzi al winemaker à la moda, che il vino lo fabbrica, lo vende, e riesce a farlo premiare (tutto compreso nel pacchetto), vignaioli che lavorano duramente in vigna e lo si vede dalle loro mani, quando hai il piacere di incontrarli.
E pensando con gratitudine a questi vignaioli, a questo onesti e seri servitori del vino italiano, alieni da protagonismi, umili, concreti, degni di fiducia da parte del consumatore, ho pensato, tra i tanti nomi e volti che mi si sono affacciati alla mente, a quello di Luciano Ciolfi, conduttore, insieme al padre Paolo e al nonno Violante Bramante di quella bellissima realtà, a Montalcino, chiamata SanLorenzo.

Un bel posto che “si trova sul versante sud-ovest del comune di Montalcino e si sviluppa a 500 metri di altitudine sulla cresta delle colline che dal poggio della Civitella si allungano morbide fino al fiume Ombrone. I terreni si estendono sui due versanti delle colline, con il bosco verso nord e la Val d’Arbia, e i vigneti esposti verso sud-ovest e la Maremma e sono puro galestro ricco di pietre, magro e acido.
Quattro vigne, dal 2012 passate a conduzione biologica, poco meno di cinque ettari tutti dedicati a Messer Sangiovese, di età variante da dieci a 40 anni, situate sul versante sud della proprietà e sono esposte verso sud o verso ovest, a seconda della morfologia naturale del territorio, allevate a cordone speronato, con una densità che varia da 3000 a 4500 piante.

Di Luciano Ciolfi conosciamo già e apprezziamo tantissimo, considerandoli paradigmatici dell’attuale panorama produttivo ilcinese, il Brunello di Montalcino, la versione annata e quella riserva ed il Rosso di Montalcino. Ora dovremo, anzi dovrete abituarvi ad apprezzare, e tanto, perché si tratta di un grande vino anche l’ultimo nato, sempre base Sangiovese, di Sanlorenzo, figlio di quell’annata 2014 che se anche non si rivelerà memorabile e a lunga gittata per grandi rossi di quella meravigliosa terra collinare, è perfetta (lo dimostra anche il pari tipologia di Sesti) per produrre splendidi rosati.
Ebbene sì, non stupitevi, a Montalcino, terra di Brunello, si producono anche ottimi ed esemplari rosati, di Sangiovese, ça va sans dire (di alcuni ho già scritto, ad esempio qui, poi qui e qui) e si possono ottenere quando, come nel caso di Ciolfi, si dispone di vigneti digradanti che partono da un’altezza di poco inferiore ai 500 metri, con esposizioni differenti, che assicurano perfette maturazioni delle uve e la salvaguardia, cosa non difficile nel piovoso 2014, di un buon livello di acidità. Ed è così nato, contraddistinto da una variopinta etichetta, questo Rosato, ottenuto dal salasso di una piccola parte delle uve destinate al Rosso di Montalcino dove è rimasto a contatto con le bucce per poche ore (sei) è stato messo a fermentare in barriques usate (niente malolattica) e vi è rimasto fino a maggio, con imbottigliamento il 9 luglio 2015.

Il risultato, inutile dirlo, mi ha entusiasmato. A tal punto che considero questo rosato, e nel 2015 ne ho provati davvero tanti, uno dei più buoni bevuti quest’anno. Il rosato di Sanlorenzo non accontenterà coloro che, adottando il modello assai diffuso in Provenza (ma basta spostarsi a Tavel, l’AOC principe del rosé in Francia, 960 ettari e tre terroir diversi tutti dedicati a le vin en rose… per trovare colori più importanti spesso più vicini a quelli dei rosati salentini o abruzzesi), pensato ad un rosato dai colori pallidi, più vicino ai Chiaretti gardesani che al rosato classico.
Il colore, difatti, è intenso, un cerasuolo melograno squillante e luminosissimo, pieno di riflessi, allegro, sgargiante, vivo, ed il profumo è una sinfonia di profumi, un fortissimo bruckneriano con squillare di ottoni e rullo di timpani, una succosa polifonia di ciliegia e ribes, di erbe aromatiche e macchia mediterranea, un tocco di liquirizia nera, di mora di rovo, di terra umida, di sale e pietra finemente in armonia tra loro, a costituire un insieme che ha freschezza e profondità, fragranza e succo.
E che buona, che golosa, viva, pimpante, ricca, la bocca, piena, ben polputa, con un frutto ben maturo, rotondo al punto giusto senza tentazioni piacione o zuccherose, con una salda struttura tannica che innerva il vino e si fa giustamente sentire, una magnifica acidità che dà energia, slancio e verticalità al vino, che lo fa apprezzare e gustare sorso dopo sorso, lasciando la bocca pulita e fresca, suscitando il desiderio, irrefrenabile e contagioso, di continuare a gustarlo. Insomma un vino fedele espressione di Montalcino e del suo trionfante Sangiovese.

Vuoi mettere un vino del genere, vivo, scalpitante, profumato di terra e di frutta, di pietra e di sale, con i vini di plastica, con i surrogati di vino proposti sabato 26 nella grottesca messa in scena di Expo?

Sanlorenzo
Podere Sanlorenzo, 280
53024 Montalcino (Siena) Italy
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