
A proposito de “l’uomo ponte” Enzo Siviero
Dall’amico Alfonso Stefano Gurrera ricevo e, profondamente divertito, con vero piacere, pubblico…
Ovviamente da leggere ascoltando l’ineffabile Bridge over troubled water…, ça va sans dire…

Carissimo Franco, faccio una premessa: a Venezia vive un personaggio singolarissimo, si chiama Enzo Siviero, ed è un docente ordinario di Teoria e Progetto di Ponti presso l’Università IUAV di Venezia e anche vicepresidente e membro del CUN un organismo di ingegneria civile ed architettura. La passione della sua vita: “I ponti” ovviamente. Ma è talmente maniacale, questa passione, che lo hanno definito “l’uomo ponte” e lui si è immedesimato in questo personaggio nella forma più totale.
Così gli è balenata l’idea di farsi scrivere, dagli amici, e poi inviare, una “paginetta” sulla sua persona e sul “marchio” che gli hanno appioppato, cioè “Uomo ponte”. Le ha raccolte e ne ha fatto un libro che è stato presentato nei giorni scorsi a Catania nella sede dell’”Ordine degli ingegneri”. Noi, dell’azienda Al-Cantara, cioè “Il ponte” (ma io sono “solo” un consulente esterno) siamo, stati convolti e abbiamo partecipato con questo mio racconto, in cui il vino fa la sua apparizione in un modo non proprio fuggevole.

L’avevo deposta in un cassetto “a futura memoria” quella massima di cui non conosco più il nome del suo autore. Cosa mi aveva spinto a conservarla? Una reminiscenza scolastica? Una guida morale? Un concetto esistenziale? No, niente di tutto questo, semplicemente: “un destino”.
Una “paginetta” ingiallita, piegata in tre e conciata dal tempo tanto da rendere illeggibili due parole, forse la chiave del suo significato. E inizianti, entrambe, con un “tra…”: “La grandezza dell’uomo è di essere un “ponte” (ecco il destino) non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una tra… e un tra…”. Ma quell’ “essere un ponte”, rendeva compiuto il concetto, tale da rivelarsi, oltre un destino, una vera profezia, un “nomen omen” da segnare il resto di una esistenza.

Me la sono ritrovata in tasca, quella paginetta, mentre passeggiavo in cantina ascoltando il vino. Che cosa affascinante è il vino quando ti metti ad ascoltarlo! Soprattutto nel momento in cui percepisci il gorgoglio dei suoi fermentini. Che sembra venir da lontano, come l’eco di una storia antica, come la voce fascinosa delle sue parole, come il colore nitido dei miei pensieri.
Qui in questo ambiente, in questo luogo profumato di mosti, tutto racconta un passato lungo quattordici secoli. Storie, parole e pensieri che si accavallano, spalancano prospettive, dispiegano orizzonti, abbattono confini, impongono nuove letture del vivere, creano ponti. Sarà l’effetto di questa valle, e del nome che porta, dove ho la fortuna di possedere un’azienda. Alcàntara è un nome che vuol dire infatti ponte, lo scelsero gli arabi e forse sta tutta qui la chiave del mio destino.

Un destino che si rivela ancor più gravido, e ancor più denso nei suoi significati, dopo aver conosciuto Enzo Siviero. Io, l’azienda Al-cantàra, scritta col trattino, la porto sulle spalle, lui l’Alcàntara, il ponte, ce l’ha nel sangue, nel suo Dna. Così i miei soliloqui di parole e di pensieri si fanno dialogo. E lui, Siviero, diventa il mio virtuale interlocutore. Con i suoi saperi, i suoi luoghi mentali che ora assumono forme fisiche, escono dalla cantina, scendono ancor più a valle. Lì, a pochi metri, incontriamo il fiume Alcàntara dal letto angusto, e dello stesso nome arabo, un fiume stretto e basso di fondale, in certi punti lo si attraversa persino a piedi.

Così fantastichiamo entrambi di camminare, a ritroso del tempo, su due sponde, che ora diventano, e si fanno, la nostra Stoà degli antichi Greci. Vedo lui guadagnarsi la sponda destra, e farsi Zenone, io mi apposto sulla sinistra e mi sentirò l’allievo Perseo. Senza apparire troppo un “Cinico” scostante. Un percorso fisico alla ricerca di un’area “pacifica” dove costruire i ponti della nostra esistenza. D’altronde l’avvento della civiltà araba in Sicilia si rivelò come “la più pacifica invasione della storia dell’umanità”. Un “ponte” così definito, molto “cordiale” fra la civiltà orientale e quella occidentale.
Ora con la stessa cordialità vorrei buttare là, nella sponda opposta, in modo leggero, come una rimessa laterale, i miei quesiti esistenziali affinché il mio mentore Siviero le raccogliesse. E sapendolo un vero “uomo-ponte” le raccoglierà a braccia aperte e con quel sottile piacere che lui sempre prova quando c’è di mezzo un ponte, reale o metaforico che sia. Quesiti pertinenti ai problemi di chi produce un vino o vive semplicemente la vita.

Ecco il mio primo interrogativo: quale ponte attraversare per conciliare l’umiltà consapevole dell’animo contadino con l’orgoglio di un vignaiolo che sa di trasfondere in un vino il sapere d’un territorio, di una comunità di persone, di una tradizione?
Secondo: quale ponte percorrere per attraversare le ragioni del cuore affinché il pensiero dell’anima li comprenda? E, infine, quale forma progettuale conferire a quel ponte che coniuga “ragione e sentimento” affinché si stemperi il contrasto, e il dissidio, tra le istanze psicologiche e le istanze morali?

Già lo vedo il bravo Enzino col suo procedere peripatetico lungo la riva di “quel fiume che si chiama ponte” con le braccia dietro la schiena e le mani congiunte come il segno di una sicurezza tutta filosofica. Già sento la sua voce accarezzata dal gorgoglio dello scorrere dell’acqua, come un “Pánta rêi” eracliteo del tutto scorre, come le ore del tempo, come il fluire liquido e temporale della vita che ci accompagna fin verso sera, fin verso il crepuscolo. O per meglio dire come una tra…nsizione, come un tra…monto…
Oddio, che siano queste le due parole scomparse dalla paginetta ingiallita col motto del mio destino? Confido in un sì. Secco e perentorio da quell’uomo-ponte che qualcuno ancora si ostina a chiamare Enzo Siviero.
Alfonso Stefano Gurrera
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