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Avevo deciso di non scrivere una riga del “caso Bressan”, sorto a causa di improvvide dichiarazioni (se non le conoscete potete informarvi attraverso i due articoli più onesti e circostanziati scritti su questa vicenda, questo e quest’altro) dal sen fuggite di Fulvio Bressan, il temperamentoso, polemico, scatenato irascibile bastian contrario vignaiolo di Farra d’Isonzo.
In attesa di lasciar parlare esclusivamente i vini, perché credo che per quanto Fulvio abbia “sbroccato” e sbagliato, anche se esasperato da uno stato di cose che solo i miopi, gli ipocriti ed i politicamente corretti ad oltranza possono fare finta di non vedere, sia giusto andare oltre a lasciare che sia il suo lavoro serio e coscienzioso in vigna e cantina a parlare e che di lui vengano giudicate le opere, i vini, e non qualche uscita che avrebbe potuto benissimo evitare, mi ero limitato ad intervenire su qualche blog, italiano ed estero, e su Twitter, per invitare tutti a darsi una calmata e porre fine ad una vera e propria opera di linciaggio nei confronti di Fulvio che trovavo francamente esagerata.
In questo strano Paese che è diventato l’Italia si perdonano ladri e assassini, gente che guida senza patente in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti e ammazza cittadini inermi, stupratori e criminali di ogni tipo e non si ha la forza di concedere al vignaiolo Bressan un briciolo di perdono e la possibilità di riscattarsi?
Non volevo dire niente, lo ripeto, ma quando oggi ho letto, da un suo tweet postato nel suo account di Twitter, che Mrs. Monica Larner, la novella Italian Reviewer for The Wine Advocate, ha dichiarato testualmente che “In light of the unacceptable comments recently made by Fulvio Bressan, I will not taste his wines in my upcoming Friuli report”, ovvero che a causa delle “sparate” di Bressan non inserirà i suoi vini nel suo resoconto di assaggio di vini del Friuli Venezia Giulia per la rivista creata da Robert Parker, allora mi sono girate le scatole e mi sono incavolato.
Di getto ho risposto alla collega, che notoriamente, come si può leggere qui e qui, non stimo molto, con un mio tweet scritto nel mio inglese un po’ zoppicante, dicendole “congratulation for your Pharisee politically correct choice! Remember that you taste wines not the ideas of the producers”.
Decidere di non assaggiare i vini di Bressan, o di non scriverne dopo averli assaggiati è un gesto, da parte di un professionista la cui attività consiste nel degustare i vini e nel raccontarli ai lettori, non solo ingiustificato, ma sciocco, perché noi degustiamo e raccontiamo i vini e non entriamo nel merito delle opinioni politiche, delle prese di posizioni personali, di chi li produce.

E se davvero la linea della Larner dovesse passare e fare testo, se per scrivere di un vino dovessimo disporre di una sorta di “certificato di buona condotta”, un attestato di moralità da parte dei produttori, mi chiedo di quanti produttori potremmo allora alla fine scrivere.
E quanti invece, che magari non pagano le tasse, non versano i contributi ai dipendenti o ai collaboratori, pagano in ritardo le provvigioni ai rappresentanti, utilizzano una Doc o una Docg che prevede l’uso, tramite il disciplinare di produzione, di determinate uve e poi invece ne utilizzano altre non consentite, e hanno idee politiche, non dichiarate, discutibili, verrebbero in tal modo ad essere esclusi.
Il consumatore non vuole altro che vini buoni, espressivi, rappresentativi dei territori di produzione, autentici, che si bevano bene e non facciano male e abbiano un prezzo corretto. Non chiede certo a chi li produce di essere degli angioletti, delle persone impegnate nel sociale o degli aspiranti premi Nobel. Dimenticarlo, e dare addosso a Bressan in questa occasione, è puro atto di ipocrisia.
Ha detto bene un commentatore intervenendo sul blog Percorsi di vino di Andrea Petrini: “Questo non è altro che l’ennesimo tentativo di tagliare fuori dal mercato chi fa il vino seriamente e senza padrini; emarginare chi si preoccupa della qualità e non dei volumi di produzione e di cosa scrivono le guide”.
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