Libiam nei lieti calici
Cacc’e Mmitte di Lucera 2009 Cantina La Marchesa
Pubblicato
10 anni fail

Ho già espresso, qui, a fine giugno, a seguito di una visita fatta in azienda, nell’agro di quella bellissima cittadina che è Lucera in provincia di Foggia, nel cuore della Daunia o Capitanata, tutto il bene che penso del lavoro, serio e impegnato e teso alla qualità senza compromessi, di Marika Maggi e Sergio Grasso, protagonisti di quella piccola, ma agguerrita azienda agricola che è la Cantina La Marchesa.
Ho raccontato come stiano lavorando bene, in bianco con il Quadrello, in rosato con l’ottimo Melograno ed in rosso con due vini, Donna Cecilia e Il Nerone, ottime letture di quell’uva difficile che é il Nero di Troia, e avevo proposto le mie prime impressioni d’assaggio del nuovo vino con il quale hanno deciso di affrontare il giudizio di un pubblico di appassionati che grazie ad un rapido passa parola ha cominciato ad affezionarsi ai vini di questa cantina del nord Puglia.
Questa volta il confronto è avvenuto con la storica, ma ben poco conosciuta fuori dai confini locali e non molto rivendicata, visto che in commercio sono ben poche le versioni di questo vino, denominazione del territorio, il Cacc’e Mmitte di Lucera, Doc dal 1975, la cui produzione è consentita nella zona tra le pendici dell’Appennino Dauno, nella zona comprendente i comuni di Lucera, Biccari e Troia in provincia di Foggia appena a Sud del Gargano. La Doc Cacc’e Mmitte di Lucera è la seconda zona Doc che si incontra entrando in Puglia se si proviene dal nord (la prima è la Doc San Severo). Molto complesso, come già scrivevo quest’estate, il disciplinare del vino, tanto che comprende, accanto all’Uva di Troia, che è prevalente, anche Montepulciano, Sangiovese, Malvasia nera Trebbiano, Bombino bianco, Malvasia e fors’anche Falanghina.
I vitigni maggiormente utilizzati sono Uva di Troia, Montepulciano e Bombino Bianco. Alla Marchesa hanno pensato (insieme all’enologo consulente Mauro Cappabianca) ad una versione molto personale, caratterizzata da una forte e prevalente quota di Uva di Troia e Montepulciano.
Molto singolare il nome del vino, un’espressione dialettale che richiama l’antica pratica di vinificazione in atto nella zona, che si svolgeva nei “palmenti”, ovvero in vasche di mattoni, calcestruzzo o anche scavate nella roccia, usate nell’Italia meridionale per la pigiatura dell’uva e la fermentazione del mosto, proprietà del latifondista che le metteva a disposizione di chi ne faceva richiesta per la pigiatura delle uve.
Queste attrezzature “potevano essere utilizzate esclusivamente nella giornata di fitto, al termine della quale l’utilizzatore, completate le operazioni previste per la vinificazione, lasciava il “palmento” a disposizione di un altro richiedente che vi versava le proprie uve. Il viticoltore, a questo punto, trasferiva il mosto dalla masseria del latifondista alla propria cantina, in città”.
Da questa procedura deriva l’espressione “Cacc’e Mmitte” e cioè “Cacce” (cacciare fuori dal “palmento” il mosto ottenuto dalla pigiatura) e “Mmitte” (mettere nel “palmento” vuoto l’uva del successivo utilizzatore).
Negli ultimi decenni si è stravolto completamente il significato storico-etimologico di questa Doc, passando dal riferimento al metodo di produzione al particolare metodo di degustazione che consiste nel versare il vino nel bicchiere, nel degustarlo subito e nel versarlo nuovamente.

Marika Maggi e Sergio Grasso
Io sono per la storicità e per la tradizione eppure gustata nuovamente in questi giorni, a distanza dal primo assaggio, la prova d’esordio sul Cacc’e Mmitte di Lucera della Cantina La Marchesa, ho trovato che la piacevolezza del vino, la sua facilità d’approccio giustifichi pienamente l’idea che si tratti di un vino da versare, bere e poi versare nuovamente. E così via.
Confermo le impressioni estive, trovando splendido il colore, un rubino violaceo brillante e luminoso, suadente la dolcezza succosa dei profumi, la profondità e l’ampia tessitura, con note di ribes, mora, lampone, accenni selvatici, di sottobosco, liquirizia, prugna, ciliegia selvatica, macchia mediterranea, accenni “catramosi” che si rincorrono e vanno a comporre, ben distinti, ma ben fusi, un insieme intrigante.
Ma ho trovato, dopo alcuni mesi di bottiglia, ancora più vivace e ricco di estro, compatto, stratiforme, con una punta di pepe nero e una leggera speziatura, il naso, e più goloso il gusto, una bocca larga e piena caratterizzata da una calibrata succosità e morbidezza del frutto, ma vivo, “croccante”, vibrante, senza alcun eccesso di surmaturazione, una presenza tannica precisa ma non aggressiva, ben sostenuta, una persistenza lunga e viva, piena di sale.
E una grande freschezza, con un dinamismo e un’articolazione notevoli, e un alcol calibrato (13 gradi) che è raro trovare nei vini, anche nei migliori, del Sud.
Un vino che ho gustato su un arrosto di maiale con tortino di patate, fontina e cipolle e che credo possa esprimersi al meglio su carnivore preparazioni che prevedano cotture alla griglia oppure arrosto, in preparazioni gustose e ricche di sapore.
Un gran bel vino, che vale pienamente i sette euro di costo franco cantina.
Cantina La Marchesa
Contrada Marchesa Strada per Castelnuovo Lucera FG tel. 329 0946868 – 337 8387702
Due brevi note di presentazione Sono nato a Milano nel 1956 e dal 1966 vivo in provincia di Bergamo. Giornalista pubblicista dal 1981, dal 1984, dopo aver collaborato, scrivendo di libri, cultura, musica classica e di cucina, a quotidiani come La Gazzetta di Parma, Il Giornale, La Gazzetta ticinese e Il Secolo d’Italia, mi occupo di vino. Per diciotto anni, sino all’ottobre 1997, sono stato direttore di una biblioteca civica. Continua a leggere ...

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ho conosciuto questa tipologia in Vino al vino (il libro) che sto finendo di leggere e non nascondo che ho sorriso a tale nome! Chissà che riesca anche a provarlo..
Mi avevano detto più semplicemente che ‘cacc’e mmitte’ voleva dire ‘togli e aggiungi’ riferito alla possibilità di usare più o meno tipi di uve nella composizione. Grazie. Saluti dalla Toscana.
Assolutamente daccordo. Bravi Sergio e Marika e bravo anche tu, Franco, a tenerli d’occhio.
Buongiorno Sig. Franco,mi scuso subito di approffittare di questo articolo per srivere un commento astraneo allo stesso, ma per avere una risposta da Lei.
Ho consultato la nuova guida dei vini della Slow Food. La ho trovata molto ben fatta, con lo spirito giusto e infatti sono concorde con la maggioranza dei giudizi dati.
Ma mi sono chiesto e Le chiedo (vista la sua competenza sul Montalcino):
quale remota ragione ha fatto sì che non sia presente la preziosa Cantina Case Basse di Soldera?
Spero in una sua risposta che mi faccia capire come funzionano le cose.
Grazie e arrivederci a Mogliano Veneto.
risposta semplice Nicola: Gianfranco Soldera non manda alle guide i campioni da degustare e credo che non tenga in alcuna considerazione le guide. Tutte le guide, senza distinzioni
Grazie tante della solerte risposta.
Capisco Soldera.
Intuisco come funziona il mondo delle guide, alcune hanno “usanze” più criticabili altre meno.
Leggendo le guide fino ad oggi, mi mancava sempre qualche nome altisonante, magari più d’uno, e magari, con qualcosa in comune.
Leggendo questa ho ritrovato tutti quelli che magari non amano le guide, le fiere, la pubblicità: Gravner, Valentini, Quintarelli, anche Gaja, per citarne alcuni.
Secondo Lei, tutti questi hanno spedito i campioni da degustare?
Soldera è rimasto uno dei pochi a non voler seguire quella strada?
Mi interesserebbe molto il suo parere, grazie ancora.
P.S. mi viene in mente di npn aver visto nemmeno Pino Ratto nella guida Slow Wine.
Mi intrometto, dopo aver letto le osservazioni di Nicola.
Anche a me pare che spesso manchino dei nomi molto noti (e ben reputati), mentre mi pare anche che non manchino mai altri nomi, magari più ‘grigi’, e molto noti.
E’ un po’ come se certi produttori avessero ‘un abbonamento’ alla presenza e altri avessero un’allergia alle guide o altrimenti non ne fossero per niente considerati.
Siccome essere o non essere (su una guida) più che un dilemma dovrebbe essere un merito (o un demerito), e insomma dovrebbere corrispondere a una valutazione, questa allure lascia, in generale, un po’ perplessi.
Poi c’è quella che io chiamo “la pratica dell’utile idiota”, che mi lascia, più che perplessa, incazzata; ma di quella ti scrivo un’altra volta ‘ché adesso non ho tempo.